LA TRADIZIONE/ Il presepe napoletano tra sacro e profano

di Raffaele Menniti

Napoli – Se alla vigilia di Natale tutta l’attenzione è rivolta verso tavola imbandita, ricca di piatti tipici della tradizione, tovaglie e tovaglioli di colore rosso in classico tema natalizio, non manca di certo l’elemento che per molti napoletani è tradizione ed è quasi d’obbligo: il presepe. Incredibilmente fantastico e straordinariamente meraviglioso per semplicità, maestria e attenzione nei particolari si candida ad essere re della tradizione secolare natalizia partenopea, al pari, se non un gradino più su dell’ormai consolidato e collaudato cenone della vigilia.

Ma il presepe napoletano quando nasce? La prima apparizione del presepe risale al 1024, mentre quella del presepe napoletano alla metà del settecento. Napoletano, si, perché il presepe, per quanto strano possa apparire, è molto diverso dal presepe napoletano. Il primo raffigura in sé e per sé la natività, ovvero la nascita di Cristo, tralasciando il “vicinato” e focalizzando l’attenzione sull’ evento principale; il secondo invece, rappresenta sì la natività, ma dà molta più importanza anche a ciò che circonda la scena madre.

Presepe tra sacro e profano. L’atmosfera è quella festosa della Napoli settecentesca, nella quale ogni figura riveste una particolare importanza e funzione ai fini della riuscita, molte volte al di sopra delle aspettative del ciclone presepe, che investe come uno tsunami tutta Napoli e ne fa oltre un marchio di fabbrica nel mondo, una vera e propria arte.

Ma come è possibile, allora congiungere armoniosamente il sacro con il profano? La bravura dei mastri presepiali, sta proprio nel dosare in maniera giusta queste due componenti, dando anche significati profani a figure religiose, e significati religiosi a figure profane. Come la contrapposizione vergine Maria e meretrice, due figure antitetiche fra loro, ma che creano quell’ unione inscindibile fra il sacro e il profano. Legame raffigurato anche nella figura del monaco, che è l’effettivo simbolo di sacralità posto in un ambiente mistico. Abbiamo poi figure che nascono da versi della Bibbia, come il pastore dormiente, meglio noto come Benino (c’è anche chi lo chiama Benito), il quale dormendo sogna il presepe, e guai a svegliarlo, potrebbe finire la magia!!

Le interviste. Camminando per la strada dei presepi per eccellenza, San Gregorio Armeno, abbiamo chiesto alle persone cosa pensassero del presepe. “Per me il presepe è la forma più alta di arte che si avvicina a Dio. Nonostante rivesta una doppia chiave di lettura, Sacra e Profana, tutto si svolge in funzione della natività, e ciò che noi Napoletani aggiungiamo, serve a rendere unica e meravigliosa quell’ atmosfera tipica del Natale che ci rende tutti più buoni e a tratti anche grandiosi artisti!”, commenta V.M., giovane trentenne napoletano e ancora, “Il presepe deve rispettare la tradizione per il 50% della realizzazione, l’altra metà deve essere a discrezione dell’artista che è in noi. Non deve assolutamente mancare di stravaganza altrimenti si creerebbe una monotonia che annullerebbe tutta la magia creata”, conclude S.D., giovane studentessa napoletana.

Due versioni, se pur in parte contrastanti fra loro, denotano un’unicità di fondo, quella del presepe classico napoletano, che non manca mai di stupire ogni anno con la sua incantevole e stupefacente realizzazione.

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