“Succo di Bile”, la prima raccolta di poesie di Angelo Ivan Leone

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a cura della professoressa katia Marulli

 

La prima raccolta di poesie di Angelo Ivan Leone si intitola Succo di bile ed è stata pubblicata nel 2003 da Libroitaliano, nella collana Poeti Italiani Contemporanei.

La raccolta, edita quando l’autore era appena ventenne, comprende 40 poesie divise in tre parti.

La prima parte è quella più squisitamente impegnata dell’opera, come si intuisce dalla citazione di Franco Battiato che apre la sezione:Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore…”, dove la parola “patria” indica non solo l’Italia, ma soprattutto il meridione italiano, verso il quale l’autore avverte un forte senso di appartenenza, non scevro, però, dall’aperta condanna dei mali che lo affliggono.

La poesia che apre questa sezione “A quale Dio dobbiamo credere? è una sberla in pieno viso al lettore.

Il grido “Dio è morto!”, lanciato a fine Ottocento dalla filosofia nichilista e da Nietzsche in particolare, riecheggiato fino agli anni Settanta in una canzone di Francesco Guccini resa celebre dai Nomadi, dopo aver tragicamente cambiato la storia e il volto del Novecento, viene rilanciata da un ragazzo di vent’anni che si chiede ironicamente se qualcuno dei nuovi idoli lanciati dall’ipercapitalismo e dal consumismo possa essere un Dio nel quale credere.

Nella lirica “Il volo di Icaro”, è condensata in alcune decine di versi una rassegna di storia mondiale, focalizzata soprattutto sulle tragedie e le brutture della storia di ogni epoca e di tutti gli angoli della terra. Le ali di cera di Icaro diventano metafora della voglia dell’Io lirico di sollevarsi dalle miserie del mondo e innalzarsi, finalmente, verso la libertà.

Nella poesia “Ipocondria”, invece, l’autore torna a focalizzare il suo sguardo sul sud Italia, in particolare su quella mollezza tipicamente meridionale, su quel ritmo di vita lento e un po’ spagnoleggiante, su quella apatia che altri grandi poeti hanno definito spleen o male di vivere e che al Mezzogiorno si tramuta spesso in paralisi burocratica o in anarchismo sconclusionato e ribellista. La sezione non è scevra da tematiche sociali, come la piaga della droga e delle dipendenza giovanili cantata in: “Lo sballo”.

Succo di Bile Copertina

La seconda parte è introdotta da una citazione di Giuseppe Tomasi di Lampedusa:

Questo paesaggio che ignora le vie di mezzo tra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata”. Il fil rouge di questa seconda sezione è rappresentato dalla natura. Nella lirica “Caluria”, che presenta una licenza poetica nel titolo per accrescere e rendere più palpabile il senso di calura, si parla della canicola estiva e della sua influenza sulle azioni e, soprattutto, sulle non-azioni dell’uomo, svuotato di ogni volontà dalla “caluria”, descritta superbamente con una serie di correlativi oggettivi.

“Il falco bianco” è una lirica che descrive, in soli sei versi, la parabola dell’uomo e del suo percorso verso l’epilogo dell’esistenza, reso centrale dalla ripetizione anaforica nei sei versi della frase “L’uomo muore”.

Nella sezione dedicata alla natura non poteva certo mancare il mare, evocato nella lirica “Sentire il mare”. Il mare è visto come il testimone silenzioso della violenza e del sangue che hanno imbrattato la terra. La sinestesia “Sentire il mare” vuol dire proprio riuscire a percepire, a conoscere questa violenza e a sentire la desolazione degli uomini che conducono una battaglia, una qualsiasi lotta personale o sociale.

La terza parte si apre con una frase di una canzone di Carmen Consoli “Perché essere felici per una vita intera sarebbe quasi insopportabile…” ed è la sezione più emotiva e sentimentale della raccolta. La sezione si apre con “07/04/03”, una lirica che racconta in modo rabbioso e disincantato la fine di una storia sentimentale.

“Il girone degli ignavi” è una condanna degli individui che vivono solo di apparenza, privi di alcuna autentica importanza. Nella sezione, c’è anche spazio per l’incontro con l’altro, in questo nostro mondo sempre più multiculturale: “Il mio amico Aziz” è uno spunto per riflettere sull’incontro-scontro tra culture e culti religiosi, tra Islam e Mondo Occidentale e per dimostrare come la voglia reciproca di incontrare il diverso e di aprirsi all’altro sia una condizione irrinunciabile per riuscire a convivere pacificamente.

In “La vita è un tradimento”, l’autore svela come la vita e la crescita siano un lento e inesorabile disvelamento di una orribile verità, vissuta appunto come un tradimento. L’idealismo e la fiducia negli altri, propri dell’adolescenza, lasciano spazio alla dolorosa consapevolezza della bruttura e della malvagità dell’animo dell’homo homini lupus, come diceva Tacito.

“Le nostre mani” è una lirica d’amore, in cui le mani di un uomo e di una donna, strette insieme, sono il simbolo di un unione salvifica, in grado di dare forza e speranza a entrambi i protagonisti. Lirica squisitamente amorosa anche “L’incantevole” in cui l’aggettivo sostantivato del titolo si riferisce proprio alla donna amata, sublimata in una descrizione ammirata e innamorata.

Un amore più tormentato quello di “No, non sei”, in cui l’Io lirico si interroga sulla vera identità di una donna un tempo amata, ma avvertita ormai come lontana. La lirica si chiude con una invocazione a Dio per imparare ad amare.

Un amore tormentato e doloroso, ma comunque non ancora finito, seppur sul viale del tramonto, quello raccontato da “Ora dove siamo?” i ricordi dei tempi felici della storia d’amore diventano il pretesto per interrogarsi dolorosamente sulla storia sentimentale e per scambiarsi accuse e recriminazioni reciproche. Quell’ “io ti amo” ripetuto nonostante tutto e che acquista un rilievo musicale per la rima con il titolo, rappresenta il tormento di un cuore che non ha ancora deciso.

Un amore che lotta tra la dolorosa sopravvivenza e la rabbiosa fine è al centro di “Telefono occupato”, in cui l’Io lirico si arrovella nei tormenti di un rapporto paragonato a una ragnatela dove entrambi i partner sono incatenati e che impedisce loro di volare. La lirica si chiude con quello che sembra un abbandono definitivo nella realtà, ma non certo nella memoria e nel ricordo.

Tutte le poesie sono accomunate dalla rabbia, rappresentata dalla bile del titolo, presente anche nelle poesie squisitamente d’amore, dove la bile è metafora del troppo amore che avvelena e ferisce.

 

Succo di Bile, Angelo Ivan Leone per informazioni inaccessi.bile@libero.it

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