Cecenia, gay reclusi nei campi di concentramento: testimonianze shock

di Christian Montagna

Cecenia – A nulla è servita la storia, a nulla le morti: all’ indomani dell’anniversario della morte di Primo Levi, testimone dell’orrore nazista, si torna a parlare di campi di concentramento. Da diversi giorni, sul web si rincorrono voci di presunte inclusioni forzate in campi di concentramento di almeno cento omosessuali in Cecenia.

Nei giorni scorsi, a parlarne, era stato anche il periodico indipendente russo Novaya Gazeta e  secondo la notizia, il governo ceceno, guidato dal primo ministro Ramzan Kadyrov, avrebbe imprigionato circa 100 uomini all’interno di un campo di concentramento segreto ad Argun, in Cecenia, con l’accusa di omosessualità.

L’inchiesta, condotta dalla giornalista e attivista russa Elena Milashina, confermata da voci vicine al Ministero dell’Interno ceceno e da alcune associazioni attiviste Lgbt, ha gettato luce su quella che lei stessa ha definito una retata profilattica, a scopo preventivo, in cui sarebbero rimasti uccisi alcuni uomini.

La smentita. Ma a smentire il tutto, con una dichiarazione ancora più assurda, è Alvi Karimov, portavoce del leader ceceno Kadyrov: “Non puoi arrestare o reprimere persone che non esistono nella Repubblica. Se ci fossero persone così in Cecenia, le forze dell’ordine non dovrebbero fare nulla perché i loro parenti li manderebbero via in luoghi da cui non si può fare ritorno”.

Orribile a dirsi. Nel giro di pochi giorni, la notizia si diffonde a macchia d’olio sul web. Condanne, critiche, indignazione: la storia, si ripete. Lo stesso quotidiano che pubblica la notizia, riporta anche alcune testimonianze shock:

 “Ci hanno fatto l’elettroshock. Era molto doloroso. Ho resistito finché non ho perso i sensi e sono caduto a terra. Ci picchiavano con dei tubi. Sempre sotto la vita. Ci dicevano che siamo “cani che non meritano di vivere”.

Altre denunce sono state raccolte da Ilga, la più importante associazione europea lesbica gay e transgender e dalla Rete Lgbt Russa che ha istituito un numero riservato per vittime e testimoni.

Violenze e umiliazioni. Il tutto sarebbe cominciato lo scorso febbraio dopo l’arresto di un uomo che nel cellulare conteneva immagini a contenuto omosessuale. Da lì, è partita l’operazione delle forze armate che hanno intercettato i diversi contatti gay che aveva l’uomo arrestando man mano chiunque venisse percepito come gay.

La testimonianza.  Un testimone  ha così raccontato l’arresto e la prigionia al quotidiano russo:

 “Mi hanno portato in un posto che sembra abbandonato ma invece è una prigione segreta su cui non ci sono informazioni ufficiali. Nella stanza accanto a noi c’erano prigionieri sospettati di aver combattuto in Siria e i loro parenti, probabilmente sono lì da anni. Più volte al giorno ci portavano fuori per picchiarci. Lo chiamavano interrogatorio. L’obiettivo era raccogliere più contatti di uomini gay. Alcuni venivano picchiati con maggiore durezza. C’era un ragazzo che veniva torturato in modo più intenso. Era lì da più tempo di noi ed era a pezzi. Aveva ferite aperte sul corpo. Lo hanno consegnato ai suoi parenti e in seguito abbiamo scoperto che è morto”.

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