Le donne, i cavallier, l’arme, l’amore. Gli italiani furiosi

 

L’editoriale

 

di Daniel Prosperi

Chiasmo. Così si chiama la figura retorica con cui si apre il poema di Ludovico Ariosto. Incrocio di versi. Come si incrociano i partiti politici e i banchieri, le cooperative e i disperati, le faglie sismiche e le edificazioni, gli incendi e il Sindaco di Roma. Un Paese insomma, fatto di chiasmo.

E di chiasso. Nessun riferimento ovviamente al Comune del Canton Ticino. Siamo cultori del caos che regna sovrano. Dovrebbero riscriverlo all’articolo 1 della Costituzione “la sovranità appartiene al disordine”.

A proposito di Articolo 1, questo nome altisonante è diventato sinonimo di “sinistra”, al fine di ricostruire quella fazione che ha saputo solo tendere una mano a destra. Alla destra più becera, quella della deriva del capitalismo, del liberismo puro, del sacrificio umano ad appannaggio di oligarchi nazisti che la Storia non è ancora riuscita a relegare al passato recente dello scorso secolo.

Settimana di fuoco, sia per le temperature che per la fortissima non scelta di un popolino stanco, veramente stremato non dalla vicende giudiziarie quotidiane, ma dalle vicende reali quotidiane. Quelle, sostanzialmente, sconosciute ai nostri rappresentanti.

Pensate, è tornato anche un cavalier senza cavallo, condannato ad essere l’erede di se stesso. Perché non esiste alternativa. L’antiberlusconismo ha prodotto l’emulazione, l’imitazione, facendo tornare quindi in pieno vigore l’originale.

E così, non è il centro destra a vincere, ma il PD a perdere.

Così giù le roccaforti rosse, i Comuni con più di 15000 abitanti e i capoluoghi di provincia, tra i quali spicca L’Aquila. Non è un caso. Qui continuano invece gli sballottaggi. È una città silente, dove di sospeso non c’era solo la democrazia, che ha visto quasi 10 anni di amministrazione Cialente.

Ci sono i sogni, le speranze, la forza del popolo abruzzese. E l’unica vita proviene, a tratti, dal profondo della terra, non dell’animo delle persone. Ci sono ancora sfrattati a tempo, come si definisce Sergio Pirozzi. E ci sono i doppioni, uno concatenato all’altro in una sorta di girone infernale, dal quale sembra di girare intorno all’unico punto fermo: la ricostruzione.

Perché miliardi per salvaguardare i poteri finanziari, esistono. Ma per le azioni verso la popolazione, sono solo indicati in cumuli di decreti. Come i cumuli di macerie. Ancora lì a sciogliersi sotto il caldo. Come nel confine mediorientale del pianeta. Dal quale si fugge per non finirci sotto.

Vediamo solo macerie intorno a noi. Da smaltire, ovviamente. Magari chiederemo a Virginia dove costruire un impianto per smaltirle insieme ai rifiuti, giusto per affidarle una competenza che non ha. Buffi creduloni, ignoranti cronici. Ecco cosa siamo. Ad onor del vero, è la Regione ad avere la competenza. I Comuni si ascoltano, ma non hanno potestà legislativa. Al massimo, deliberativa. Così come è la Prefettura a stabilire le modalità e le condizioni per l’accoglienza delle anime disperate, traghettate dai vari Caronte del Mediterraneo.

Quante cose da risolvere, eppure sembra che preferiamo questo caos come una scrivania incasinata di fogli, dove forse riusciamo a trovare meglio e a proteggere il nostro orticello. Evidentemente è così, se ci pare.

Se vuoi comandare, dividi. Un principio seguito alla lettera nel processo inesorabile di annullamento del minimo di certezze, forse troppe volte regalate senza richiesta. Un’erronea abitudine dalla quale dovremmo disabituarci. Perché siamo migliori. Possiamo dimostrarlo a noi stessi. Ai posteri l’ardua sentenza, ai presenti la dura coscienza.

 

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