Covid-19. Carenza Vitamina D e perdita dell’olfatto e del gusto. L’ISS: “Ruolo nella riduzione dei rischi di infezione vie respiratorie”

 

 

Vitamina D e Covid-19, ora anche l’ISS l’Istituto Superiore della Sanità in data 21 maggio pubblicamente interviene per dare informazioni su questa preziosa vitamina molto spesso demonizzata da professionisti medici specie in TV in riferimento all’infezione del Sars-Cov-2. La vitamina D sembrava un argomento tabù, spesso derisa la sua importanza, eppure molte persone hanno gravi carenze, o ipovitaminosi D, condizione clinica derivante dall’assenza di appropriati livelli di questa vitamina nell’organismo.
La carenza di vitamina D può dipendere da vari fattori, tra cui: un’inadeguata esposizione solare, un insufficiente apporto alimentare della vitamina in questione, la presenza di malattie renali o epatiche, un aumento del fabbisogno e l’assunzione di alcuni specifici farmaci o malassorbimento intestinale.
L’ipovitaminosi D può essere diagnosticata tramite l’analisi del sangue. L’unico modo poichè un suo deficit non dà segnali e sintomi marcati, e purtroppo non solo le persone anziane presentano i livelli inferiori ripsetto la range di riferimento.

Ma ecco che lo stesso ISS spiega senza giri di parole quanto sia importante avere normali livelli plasmatici di vitamina D (VitD) che non solo può giocare un ruolo nel ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie, ma potrebbe essere importante per il trattamento di due sintomi tipici della malattia da Covid-19


ISS: “Covid-19, carenza di vitamina D e perdita dell’olfatto e del gusto”

Il mantenimento dei normali livelli plasmatici di vitamina D (VitD) non solo può giocare un ruolo nel ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie, ma potrebbe essere importante per il trattamento di due sintomi tipici della malattia da Covid-19, quali l’anosmia e l’ageusia, ossia rispettivamente la perdita dell’olfatto e del gusto lamentati da più pazienti. E’ questo, in sintesi, il contenuto della lettera pubblicata questo mese sull’American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, che un gruppo di ricercatori di varie istituzioni italiane (IDI-IRCCS di Roma, ISA-CNR di Avellino e Ospedale S. Andrea di Roma) e di una università americana (Augusta University, Augusta, Georgia), coordinati da Francesco Facchiano del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS, ha scritto in risposta ad un’altra lettera pubblicata ad aprile sulla medesima rivista. Lettera in cui lo studioso Hrvoje Jakovac, dell’Università di Rijeka (Croazia), indagava su “COVID-19 and vitamin D-Is there a link and an opportunity for intervention?”.

“Sulla base di un’ampia meta-analisi pubblicata nel 2017 che riporta una revisione sistematica di studi randomizzati controllati – spiega Facchiano confermiamo ciò che ha proposto il collega croato, ossia il potenziale impatto benefico dell’integrazione di VitD contro le infezioni acute delle vie respiratorie. Inoltre, sottolineiamo che l’anosmia e l’ageusia, sintomi osservati nei pazienti affetti da COVID-19, sono state rilevate anche in soggetti con deficit di VitD. In letteratura è poi riportato che i pazienti affetti dalla sindrome di Kallmann, una rara forma congenita di ipogonadismo ipogonadotropico, presentano spesso diverse caratteristiche comuni ai pazienti affetti da COVID-19 come: ipo- o anosmia, maggiore frequenza della malattia nei soggetti di sesso maschile, nonché bassi livelli di VitD. Perciò, queste ricerche sottolineano la necessità, attraverso approfonditi studi epidemiologici, di raccogliere dati dai pazienti per correlare l’infezione da COVID-19 e l’assetto ormonale dei pazienti stessi”.

“Attualmente – concludono gli studiosi nella letterasono in corso numerosi trial clinici, ad esempio negli USA, che mirano a testare l’integrazione di VitD nei pazienti con COVID-19 in combinazione con altri farmaci e a confrontare l’effetto di dosi elevate rispetto alle dosi standard. I risultati di questi studi saranno fondamentali per verificare l’utilità di un’integrazione di VitD per i pazienti COVID-19”.


FOCUS VITAMINA D. Poche persone hanno una valutazione del loro stato di salute, e cioè tramite il dosaggio della 25-OH-D3 (idrossi vitamina D) nel sangue che riveste un ruolo essenziale nel monitoraggio dei pazienti che presentano disturbi del metabolismo del calcio associati a rachitismo, ipocalcemia, gravidanza, osteodistrofia nutrizionale e renale, ipoparatiroidismo, osteoporosi nella postmenopausa.

La previtamina D3, principalmente di origine alimentare, subisce una fotosintesi a livello della pelle regolata dall’esposizione ai raggi ultravioletti che la converte in vitamina D3 o colecalciferolo che è biologicamente inattivo.
Quando il colecalciferolo entra in circolo,viene prima di tutto assorbito dal fegato dove viene metabolizzato in 25-idrossivitamina D3 (25 -OH-D3), che è la quota predominante di vitamina D presente nella popolazione normale.
Oltre che dal colecalciferolo, la 25-OH–3 deriva anche dalla metabolizzazione dell’ergocalciferolo (vitamina D2) che deriva unicamente da fonti alimentari.”

A MARZO 2020  Università Torino: “Ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia” 1*

Un importante contriburo dei Proff. Giancarlo Isaia ed Enzo Medico dell’Università di Torino sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19 era stato pubblicato lo scorso marzo 2020 in cui gli stessi autori chiedevano:

“Potrebbe anche essere considerata la somministrazione della forma attiva della Vitamina D, il Calcitriolo, per via endovenosa nei pazienti affetti da COVID- 19 e con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa.

Queste indicazioni derivano da numerose evidenze scientifiche che hanno mostrato:

1.a) Un ruolo attivo della Vitamina D sulla modulazione del sistema immune

2.b) La frequente associazione dell’Ipovitaminosi D con numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, tanto più in caso di infezione da COVID-19.

3.c) Un effetto della Vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus.

4.d) La capacità della vitamina D di contrastare il danno polmonare da iperinfiammazione.”

Noi ricordiamo che per avere un quadro del proprio stato di salute occorre rivolgersi ad un medico e soprattutto verificare con le analisi del sangue i propri livelli della 25-OH-D3.

Invece il Ministero della salute aveva pubblicato sul suo sito un link dal titolo “Covid-19 – Attenti alle bufale” al punto n.40 spiega il legame tra Vitamina D e Coronavirus

 

40. La vitamina D protegge dall’infezione da nuovo coronavirus

Falso

Il Ministero della salute indicava bufala la vitamina D: “Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus”.

 

  • L’ISS e anche il lavoro dei Proff. Giancarlo Isaia ed Enzo Medico dell’Università di Torino sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19 parlano dell’importanza dei valori della vitamina D nel plasma nella norma, fatto sottovalutato poichè molte persone non conoscono i valori dell’idrossi vitamina D che deve trovarsi in intervallo preciso altrimenti la carenza è grave. In quel caso il medico curante aiuta il proprio paziente ad integrare questo ormone il cui deficit non dà alcun sintomo.

Giochi di parole, eppure CARENZA ha un significato preciso, e molte persone non conoscono il proprio stato di salute, per non parlare degli anziani, soprattutto coloro che vivono nelle RSA e seguono molte terapie farmacologiche.

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