Freedom Interview
di Cinzia Marchegiani
Il Covid-19 invade l’Europa dove è emergenza in Spagna, la Russia blocca tutte le attività non necessarie e la Cina torna a chiudere frontiere e voli dall’estero.
In tutto il pianeta il nuovo coronavirus è arrivato a colpire 553.424 mila persone. Al primo posto per casi nel mondo, superando Italia e Cina, oggi 27 marzo, con oltre 85 mila contagiati, ci sono gli Stati Uniti. New York e New Orleans ed altri centri stanno affrontando un’ondata di ricoveri e si sta delineando la mancanza di materiale sanitario, di staff e di letti. Con gli ospedali a corto di ventilatori e maschere protettive e ostacolati da una limitata capacità di test diagnostici, il bilancio delle vittime con coronavirus è salito a 1.200 persone. Dalla Spagna dati agghiaccianti, 60.059 casi totali confermati (di cui 31.912 ricoverati in ospedale), 4.858 vittime. Un film che si ripete, purtroppo. Gli spagnoli e inglesi intervistati confessano che non credevano agli scenari che dall’Italia venivano trasmessi, e ora sono preoccupati perché non hanno agito in tempo quando si poteva. Basti pensare la partita di Champions League Liverpool VS Atletico Madrid disputata pochi giorni fa, l’11 marzo 2020 presso lo Stadio Anfield Road di Liverpool.
Tutto il resto ormai è storia.
L’INTERVISTA. In merito a questa evoluzione inarrestabile del Covid-19 intervistiamo il neurologo, dottor Marcello Villanova che già ci aveva rilasciato un importante contributo scientifico e anche molto lungimirante. Osservazioni importanti sul piano concreto della gestione del contagio, che rimane ad oggi uno dei principali fattori che implementano nuovi ricoveri gravi e la corsa senza freni di questa pandemia.
- Dottor Marcello Villanova, come possiamo battere il panico che ci assale in questi giorni?
Quando non hai altra scelta che uscire di casa e andare a lavorare mentre il numero dei casi aumenta intorno a te, è difficile non farti prendere dal panico. Ma possiamo imparare dalle esperienze dei nostri colleghi in tutto il pianeta. La pandemia è globale; anche le sue lezioni.
- Cosa ci insegnano i paesi che hanno combattuto il COVID-19 prima di noi?
Seppur vero che tutti dicono STATE IN CASA è anche vero che molte persone DEVONO lavorare: sanitari, cassieri di generi alimentari, protezione civile, forze dell’ordine, operai di fabbriche per aziende importanti. La domanda che si sono posti gli organi istituzionali, soprattutto per gli operatori sanitari è stata: come era possibile fare visitare loro i pazienti senza che essi stessi diventassero pazienti.
Agli inizi a Wuhan circa tremila operatori sanitari sono stati infettati; la loro probabilità di infezione era tre volte superiore alla popolazione generale. Divennero vettori principali di trasmissione anche presso le proprie famiglie. I medici iniziarono a scarseggiare così come gli infermieri. 42000 ammalati sono stati portati altrove per essere curati.
- Quale strategia hanno adottato per evitare questo tipo di contagio?
Fortunatamente, nel momento in cui i nuovi medici/infermieri hanno iniziato ad utilizzare adeguati DPI il rischio contagio si è praticamente azzerato.
In Cina, mentre la città veniva chiusa a chiave e tagliata fuori dai turisti, gli operatori sanitari, che visitavano gli ammalati a rischio, venivano alloggiati lontano dalle loro famiglie. Indossavano indumenti protettivi per tutto il corpo, inclusi occhiali protettivi, copricapo completi, maschere filtranti antiparticolato N95 e tute.
Tuttavia, la domanda che si sono posti a Hong Kong e Singapore è se loro potessero avere tali DPI. La risposta è stata : assolutamente impossibile. Le strutture sanitarie non disponevano delle forniture che consentivano ai membri del personale sanitario di vedere tutti i pazienti con tutta quella attrezzatura. Ed allora, si sono chiesti: cosa può succedermi se mi espongo ad un paziente con coronavirus e non ho tutta i DPI utilizzati a Whuan?
In effetti, nelle prime fasi sono stati messi in quarantena numerosi sanitari per quattordici giorni perché esposti al coronavirus senza protezione completa. Ad un certo punto, però, si sono detti che se dovessimo mettere in quarantena tutti gli operatori sanitari che potrebbero essere entrati in contatto con un paziente covid-19, presto non ne rimarrebbe uno.
- Dottor Villanova, anche noi piangiamo 44 medici deceduti, e 6.414 operatori sanitari contagiati.
Leggendo alcuni articoli sul come Hong Kong e Singapore stanno affrontando l’infezione, emergono lezioni da imparare nel controllarne la diffusione. Intanto, come noi, hanno vietato i grandi assembramenti, hanno suggerito lo smart working e hanno incoraggiato il distanziamento sociale. I tamponi sono stati accelerati il più rapidamente possibile. Ma anche queste misure non sarebbero mai state sufficienti se il virus fosse continuato a propagarsi tra gli operatori sanitari e le strutture ospedaliere come sta accadendo qui da noi. I nostri ospedali non hanno abbastanza tute, maschere ffp3 – N95 e i tamponi non sono ampiamente disponibili.
Tuttavia, in quei paesi, dopo solo sei settimane sono riusciti ad avere un buon controllo sull’epidemia. Gli ospedali non erano più invasi da ammalati. Molte imprese e gli uffici governativi hanno iniziato a riaprire e l’attenzione si è spostata sul controllo dei casi in arrivo nel paese.
- Quali tattiche hanno utilizzato?
Da alcuni articoli è chiaro che immediatamente dopo il primo impatto tutti gli operatori sanitari hanno dovuto indossare mascherine chirurgiche per tutte le interazioni con i pazienti, utilizzavano guanti e un’igiene adeguata delle mani oltre che disinfettare tutte le superfici dopo ogni consulto con un paziente.
Quelli con sintomi sospetti (febbre associata a tosse, disturbi respiratori, affaticamento o dolori muscolari) o esposizioni a rischio (viaggiato in luoghi con diffusione virale o contatto con qualcuno che è risultato positivo) sono stati separati dal resto della popolazione e trattati, ove possibile, in reparti dedicati come pneumologie/medicine interne in ospedali COVID. I percorsi per accedervi erano separati dagli altri, le squadre di sanitari che se ne occupavano erano anch’esse separate. Il distanziamento sociale è stato praticato anche all’interno degli stessi ospedali: le sedie della sala d’attesa dei prontosoccorso sono state posizionate a 2 metri di distanza l’una dall’altra; le interazioni dirette tra gli stessi sanitari sono state condotte a distanza; i medici e i pazienti sono rimasti a due metri di distanza mentre parlavano tranne che durante la visita clinica.
- Ciò che è altrettanto interessante è ciò che non hanno fatto?
Si. L’uso di maschere ffp3 e N95, protezioni per il viso, occhiali e abiti è stato riservato per le procedure in cui le secrezioni respiratorie potevano essere vaporizzate/aerosol (ad esempio intubare un paziente per anestesia) e per casi noti o sospetti di covid-19. Anche le loro politiche di quarantena sono state più sfumate.
- Cosa succedeva quando qualcuno inaspettatamente risulta positivo, ad esempio un collega o un sanitario coinvolto in un pronto soccorso?
A Hong Kong e Singapore, non chiudevano quel posto né mettevano tutti in quarantena. Cercano di rintracciare ogni contatto e di mettere in quarantena solo coloro che hanno avuto uno stretto contatto con la persona infetta. A Hong Kong, “contatto ravvicinato” significa quindici minuti a una distanza di meno di 2 metri e senza l’uso di una mascherina chirurgica; a Singapore, il tempo di contatto ravvicinato è di trenta minuti. Se l’esposizione è inferiore i lavoratori possono rimanere sul posto di lavoro se indossano una mascherina chirurgica e si sottopongono a controlli di temperatura due volte al giorno. Alle persone che hanno avuto un breve contatto accidentale viene semplicemente chiesto di monitorare sé stessi per i sintomi.
- Queste misure che hanno prodotto ci possono offrire speranza se attuate anche da noi?
Il fatto che queste misure siano riuscite ad appiattire la curva covid-19 porta alcune implicazioni di speranza. Uno è che questo coronavirus, anche se sembra essere più contagioso dell’influenza, può ancora essere gestito anche da disposizioni di salute pubblica standard: distanza sociale, igiene e pulizia delle mani di base, isolamento mirato e quarantena dei malati, aumento di presidi negli ospedali come DPI, tamponi per i paucisintomatici, reparti e comunicazioni pubbliche unificate e coordinate con linee guida e dati chiari, trasparenti e aggiornati per tutti gli operatori, anche quelli sul territorio.
Quali sono stati gli errori imperdonabili commessi anche qui da noi?
Purtroppo, un errore commesso spesso, imperdonabile, è la lentezza degli organi preposti alla salute pubblica nel metterli in atto. Si arriva spesso dopo lo sparo.
- Dottor Villanova lei illustra come l’esperienza in Asia suggerisce che non sembrano essere necessarie precauzioni straordinarie per fermarlo. Possibile?
Da quella che sembra essere l’esperienza in Paesi nei quali sono riusciti a limitare la diffusione in modo efficace appare che quelli di noi che devono uscire nel mondo e avere contatti con le persone non devono farsi prendere dal panico se scoprono che qualcuno con il coronavirus è stato nella stessa stanza o è rimasto più vicino di quanto volessimo per un momento. La trasmissione sembra avvenire principalmente per esposizione prolungata in assenza di protezione di base o per mancanza di igiene delle mani dopo il contatto con le secrezioni.
Oggi Singapore sembra non aver avuto una sola trasmissione del coronavirus correlata all’assistenza sanitaria, nonostante le centinaia di casi che il suo sistema sanitario ha dovuto affrontare. Anche in casi di forte esposizione a pazienti con marcati sintomi di natura respiratoria, quindi ad alto rischio, la sola mascherina chirurgica, i guanti e tanta igiene delle mani e degli ambienti ha evitato il contagio per gli operatori sanitari.
- Dottor Villanova, come gestire allora i medici esposti al covid-19?
Ripeto, i fattori che sembrano essere importanti nella protezione degli operatori sanitari dalla malattia sono stati ASSICURARE UNA CORRETTA IGIENE DELLE MANI; limitare gli ingressi in ospedali solo ai pazienti con sintomi franchi da COVID utilizzando percorsi prestabiliti e separati dagli altri, agire molto sul territorio; utilizzare la TELEMEDICINA, applicare sempre precauzioni standard per limitare la diffusione dei droplets (mascherina chirurgica, guanti e camice e se possibile una visiera) per pazienti con sintomi respiratori.
In questi casi, quando vengono applicate queste misure negli ospedali il rischio maggiore è che l’infezione avvenga al di fuori dell’ambiente ospedaliero, almeno questa è l’esperienza in altri Paesi che hanno combattuto prima di noi. Tutti gli operatori sanitari, non solo quelli che hanno avuto esposizioni con pazienti a rischio, devono riferire se hanno sintomi di febbre o influenza ogni giorno prima di iniziare a lavorare.
- In Corea del Sud e Singapore come hanno portato i casi sotto controllo?
In Corea del Sud, sono stati effettuati tamponi di massa. Tuttavia, per certi veri è stata smentita la possibilità che i portatori asintomatici stessero causando focolai. A Singapore e Hong Kong questi untori, definiti “invisibili” del coronavirus, potrebbero aver non causato tante infezioni gravi come alcuni scienziati hanno previsto. I funzionari sanitari non hanno condotto test di massa sulla popolazione per cercare persone infette senza sintomi. Si sono concentrati sulla ricerca aggressiva nel testare solo coloro che hanno sviluppato sintomi sospetti o hanno avuto esposizioni ad alto rischio nella comunità. La loro strategia ha portato i casi sotto controllo.
- Che lezione ci dobbiamo attendere da queste analisi e approcci diversi nel contrastare l’epidemia covid-19?
Ci sono una serie di possibili spiegazioni per questo. Uno è che i casi veramente asintomatici – persone che non sviluppano mai sintomi – possono essere meno comuni di quanto temuto. D’altra parte occorre chiedersi cosa si intende per asintomatico. Uno che lamenta solo faringodinia e rinite non è asintomatico, ad esempio. A Wuhan, dove i test sono diventati diffusi e sono stati identificati più di settantamila casi di coronavirus, solo l’1% non ha mai sviluppato sintomi. A bordo della nave da crociera Diamond Princess, dove, a seguito di un focolaio, più di tremila passeggeri e membri dell’equipaggio furono messi in quarantena e testati, permettendo una delle valutazioni più complete di qualsiasi popolazione colpita, 634 persone dimostrarono di avere il virus. La maggior parte non presentava sintomi, erano “asintomatici” al momento del test. In effetti non erano, in realtà risultavano pre-sintomatici: dopo alcuni giorni hanno sviluppato segni riconoscibili della malattia come hanno dimostrato alcuni studi radiologici sul torace di questi. Solo pochissimi sono rimasti persistentemente asintomatici.
Il successo che Hong Kong e Singapore hanno ottenuto attraverso lo screening per le persone con sintomi simil-febbrili o influenzali suggerisce che il rischio di contagio asintomatico potrebbe essere molto più basso di quanto pensassimo. Tale esperienza fornisce alcune indicazioni su cosa fare non solo nell’assistenza sanitaria, ma ovunque il coronavirus circoli tra persone che devono andare fisicamente al lavoro. Risulta, quindi, necessario proteggere e dare indicazioni ben precise a chi non può #stareincasa.
Un ultimo consiglio Dottor Villanova?
La mascherina ti protegge, ma serve anche a proteggere gli altri. Indossala quando esci!
Bibliografia
https://www.eurekalert.org/pub_releases/2020-03/sfhe-hks030420.php
https://time.com/5804470/coronavirus-advice-asia/
https://www.statnews.com/2020/03/23/singapore-teach-united-states-about-covid-19-response/
https://www.advisory.com/daily-briefing/2020/03/19/asian-countries
https://pubs.rsna.org/doi/10.1148/ryct.2020200110
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