domenica, 13 Ottobre 2024

Plasma Convalescente, efficace ‘anche’ contro il Long Covid

Inchieste Freedom

 

di Cinzia Marchegiani

Plasma Convalescente olio di serpente? No, una straordinaria oppurtunità in campo medico soprattutto nelle emergenze pandemiche dove le nuove e inedite varianti dei virus mettono in difficoltà la produzione e quindi l’efficacia di farmaci specifici.

Non si dica che il Plasma Convalescente non era efficace contro le forma grave di covid-19.

La scienza, non quella dei proclami TV e/o comunicati stampa delle case farmaceutiche, ha verificato l’efficacia del Plasma Convalescente prima con uno studio mirato a valutare il suo effetto sui malati Covid 19 e ora sul Long Covid.

Alcuni medici Key Opinion Leader (spieghiamo, nel mondo della salute si definiscono KOL – Key Opinion Leader – clinici, esperti, ricercatori scientifici con esperienza e ruoli di rilievo riconosciuti dall’industria farmaceutica in specifiche aree terapeutiche, capaci di influenzare idee, opinioni e comportamenti di classe medica e dei pazienti) hanno incredibilmente negato la sua importanza nella lotta al Covid19 dimenticando gli studi invece pubblicati (risalgono al 2022) o alterando il suo significato?

DE DONNO, MEDICO ITALIANO PIONIERE DEL PLASMA IPERIMMUNE DURANTE LA FASE PANDEMICA COVID-19. In Italia non va dimenticato il dottor De Donno, pioniere proprio del plasma iperimmune applicato ai malati covid19 nel periodo più buio e cioè durante la pandemia quando non c’era a disposizione alcun farmaco o vaccino. Contro De Donno velatamente o meno cui si sono scagliati moltissimi suoi colleghi. Ora questi due nuovi studi riconfermano la straordinaria attività non solo medica/scientifica in emergenza, ma anche umana del dottor Giuseppe De Donno!

Plasma Convalescente olio di serpente o una straordinaria oppurtunità in campo medico?

La ricerca, soprattutto oltreoceano, ha voluto valutare concretamente il ruolo di questo trattamento terapeutico soprattutto per il valore unico e immediato di fronte alla presenza di nuove varianti. Infatti spiegano gli autori:

Il plasma convalescente è l’unica terapia anticorpale che ‘tiene il passo con le varianti SARS-CoV-2’, compresi i ceppi delta e omicron attualmente diffusi in tutto il mondo, perché ogni paziente che guarisce dalla variante COVID-19 produce anticorpi che la neutralizzano virus specifico.”

A pubblicare queste importanti studi è la JOHNS HOPKINS UNIVERSITY.

IL 5 GIUGNO 2022, JOHN HOPKINS UNIVERSITY: “’USO PRECOCE DEL PLASMA CONVALESCENTE PUÒ AIUTARE I PAZIENTI AMBULATORIALI CON COVID-19 A EVITARE IL RICOVERO OSPEDALIERO”

I risultati dello studio condotto dalla Johns Hopkins supportano il sangue ricco di anticorpi come opzione di trattamento precoce

RISULTATI DELLO STUDIO:I risultati di uno studio clinico multicentrico a livello nazionale condotto dalla Johns Hopkins Medicine e dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health forniscono prove concrete a favore dell’uso del plasma di pazienti convalescenti, ovvero quelli che si sono ripresi dalla malattia e il cui sangue contiene anticorpi contro la SARS. CoV-2, il virus che causa il COVID-19, come trattamento precoce. In uno studio pubblicato il 21 dicembre , i ricercatori hanno dimostrato che il plasma convalescente ha ridotto della metà la necessità di ricovero in ospedale per i pazienti ambulatoriali con COVID-19 che hanno partecipato allo studio.

Lo studio spiegava anche l’importanza sociale di questa terapia:

Poiché il panorama mutevole e spesso imprevedibile della pandemia di COVID-19 richiede molteplici opzioni terapeutiche, soprattutto nelle nazioni a basso e medio reddito dove le terapie di prima linea, come vaccini e anticorpi monoclonali, potrebbero non essere prontamente disponibili, il nostro studio fornisce prove concrete che il plasma convalescente ricco di anticorpi dovrebbe far parte dell’arsenale ambulatoriale“, affermava il co-autore principale dello studio David Sullivan , professore di microbiologia molecolare e immunologia presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health con un incarico congiunto in malattie infettive presso la Johns Hopkins Università.

RISULTATI: Lo studio ha rilevato che 17 pazienti su 592 (2,9%) che hanno ricevuto plasma convalescente hanno richiesto il ricovero ospedaliero entro 28 giorni dalla trasfusione, mentre 37 su 589 (6,3%) che hanno ricevuto plasma di controllo con placebo lo hanno fatto. Ciò si è tradotto in una riduzione del rischio relativo di ricovero ospedaliero del 54%.

Sullivan aggiungeva: “Il plasma convalescente è l’unica terapia anticorpale che ‘tiene il passo con le varianti SARS-CoV-2′, compresi i ceppi delta e omicron attualmente diffusi in tutto il mondo, perché ogni paziente che guarisce dalla variante COVID-19 produce anticorpi che la neutralizzano virus specifico.”

ORA NUOVO STUDIO SEMPRE PUBBLICATO DALL JOHNS HOPKINS UNIVERSITY MOSTRA L’UTILITÀ DEL PLASMA CONVALESCENTE ANCHE PER IL LONG COVID


20 SETTEMBRE 2023. IL TRATTAMENTO PRECOCE CON PLASMA CONVALESCENTE PUÒ RIDURRE IL RISCHIO DI COVID A LUNGO TERMINE, RILEVA UNO STUDIO

JOHNS HOPKINS UNIVERSITY: “L’esame dei risultati a lungo termine rileva che l’uso del plasma di pazienti COVID guariti, utile nella prevenzione del COVID grave, potrebbe anche ridurre la probabilità di sintomi post-COVID”

I risultati di uno studio multicentrico a livello nazionale condotto dalla Johns Hopkins Medicine e dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health suggeriscono che i pazienti con COVID-19 hanno meno possibilità di sviluppare condizioni post-COVID, comunemente note come LONG COVID, se ricevono un trattamento precoce con plasma da pazienti COVID guariti (convalescenti) che contengono anticorpi contro SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19.

La nuova ricerca, pubblicata per la prima volta online su mBio , una rivista dell’American Society for Microbiology, è un’indagine di follow-up di uno studio clinico del 2021 che ha dimostrato che il plasma convalescente è un’opzione efficace e sicura come trattamento ambulatoriale precoce per COVID-19. . L’ultimo studio ha esaminato i risultati a lungo termine di un’ampia parte dei partecipanti alla sperimentazione clinica del 2021.

Dopo il nostro studio iniziale, gli operatori sanitari hanno mantenuto il plasma sanguigno ricco di anticorpi SARS-CoV-2 disponibile nelle loro banche del sangue come parte dell’arsenale di trattamenti contro COVID-19 nelle persone immunocompromesse; e ora, i nostri nuovi risultati lo mostrano anche può ridurre il rischio di condizioni post-COVID

lo afferma il co-autore principale dello studio David Sullivan, professore di microbiologia molecolare e immunologia presso la Bloomberg School con un incarico congiunto in malattie infettive presso la Johns Hopkins University School of Medicine.

Lo studio clinico ambulatoriale originale sul trattamento precoce è stato condotto tra giugno 2020 e ottobre 2021. I ricercatori hanno fornito a 1.181 partecipanti randomizzati un’unità ciascuna di una delle due opzioni:

  • Plasma convalescente policlonale ad alto titolo (contenente una miscela concentrata di anticorpi specifici per SARS-CoV-2)
  • Plasma di controllo placebo (senza anticorpi SARS-CoV-2)

I partecipanti avevano almeno 18 anni ed erano risultati positivi al SARS-CoV-2 entro otto giorni prima della trasfusione. Un esito positivo è stato definito come la non necessità di ricovero ospedaliero entro 28 giorni dalla trasfusione di plasma.

Lo studio clinico originale ha rilevato che 17 partecipanti su 592 (2,9%) che hanno ricevuto il plasma convalescente hanno richiesto il ricovero ospedaliero entro 28 giorni dalla trasfusione, mentre 37 su 589 (6,3%) che hanno ricevuto plasma di controllo con placebo lo hanno fatto. Ciò si è tradotto in una riduzione del rischio relativo di ricovero ospedaliero del 54%.

Nell’ambito dello studio clinico, 882 partecipanti sono stati valutati anche per i loro livelli di 21 diverse citochine e chemochine allo screening e 14 giorni e 90 giorni dopo aver ricevuto plasma convalescente o plasma di controllo con placebo. Citochine e chemochine segnalano proteine ​​secrete dalle cellule in risposta all’infezione e, di conseguenza, attivano funzioni specifiche del sistema immunitario come l’infiammazione. A sua volta, si ritiene che un’infiammazione eccessiva o incontrollata sia un fattore chiave nello sviluppo delle condizioni post-COVID.

Per l’ultimo studio, i ricercatori hanno utilizzato le misurazioni delle citochine e delle chemochine, insieme alle segnalazioni dei pazienti di eventuali condizioni post-COVID all’esame di 90 giorni, per determinare se esistesse qualche associazione tra la terapia al plasma convalescente precoce e i sintomi COVID a lungo termine. Sono state condotte analisi statistiche per convalidare i risultati, dopo aver adeguato altri fattori che potrebbero rendere qualcuno più incline alle condizioni post-COVID, come i dati demografici (ad esempio età e razza), malattie concorrenti (ad esempio diabete) e lo stato del vaccino.

90 giorni dopo aver ricevuto plasma convalescente o di controllo, 590 (66,9%) dei partecipanti allo studio non hanno mostrato condizioni post-COVID, mentre 292 (33,1%) sì. Di quest’ultimo gruppo, i sintomi più comunemente riportati erano affaticamento e anosmia, o perdita dell’olfatto.

I livelli di citochine e chemochine erano elevati allo screening per la maggior parte dei partecipanti allo studio, e diminuivano maggiormente entro il giorno 90 in coloro che avevano ricevuto plasma convalescente“, afferma l’autore senior dello studio Aaron Tobian, direttore della Divisione di Medicina Trasfusionale e professore di patologia all’Università di Los Angeles. La Scuola di Medicina della JHU.

Inoltre, i partecipanti allo studio che presentavano livelli più alti del normale di una particolare citochina, l’interleuchina-6 (IL6), allo screening avevano maggiori probabilità di essere tra quelli con sintomi post-COVID entro il giorno 90. È noto che IL6 innesca una risposta infiammatoria negli umani.

“Il nostro studio è tra i primi a dimostrare che l’aumento di IL6 subito dopo l’insorgenza dell’infezione è associato a condizioni post-COVID”, afferma la co-autrice principale dello studio Kelly Gebo, professoressa di medicina presso la School of Medicine.

Mentre i livelli di citochine sono diminuiti in tutta la popolazione in studio dall’infezione al giorno 90, sono diminuiti in modo più significativo in coloro che hanno ricevuto plasma convalescente all’inizio della malattia. Quindi sembra che quando i livelli di IL6 rimangono elevati durante la fase di recupero dal COVID-19, probabilmente contribuisce alle condizioni post-COVID.

Conclude GEBO: “Studi futuri, afferma Gebo, potrebbero esaminare l’impatto degli agenti anti-IL6 combinati con altri trattamenti contro COVID-19 tra i pazienti ambulatoriali.”

Molti medici dovrebbero informare se sono in conflitti di interesse quando rilasciano interviste volte soprattutto a ridimensionare o sminuire l’importanza di terapie alternative che costano poco e sono il risultato di un dono degli stessi pazienti. Poichè come il sangue, anche il plasma non può essere né venduto, né comprato, ma solo donato. La scienza è altro (confronto, studio come mission a tutela della collettività, non gara e insulti) e anche i malati, la società umana chiedono sempre con più determinazione trasparenza e etica!

Ce la possiamo fare?


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