Inchieste Freedom
di Marco Melillo
Porta San Paolo, un treno affollatissimo e caldo. Fingo di sapere che ad osservarmi qualcuno possa capire dove stia andando: Parco Letterario Pier Paolo Pasolini. In realtà la finzione è poco più che modesta, considerati gli avventori – miei compagni di viaggio casuali – e la loro apparente estraneità a qualsivoglia argomento che non sia puro svago. E c’è da capirli: è domenica, un’assolata giornata di giugno, e la temperatura è di quasi 30 gradi.
Li senti parlare. Alcuni vengono da altri paesi, ma non sono certo tra coloro che vengono utilizzati come merce politica ed economica in questo periodo. Sono turisti, loro: inglesi, francesi, per lo più donne e per lo più ventenni, o poco meno. Chissà se quando hanno pensato di venire a Roma, sapessero che c’è il mare. Magari si sono stupiti quando l’hanno scoperto o magari lo sapevano, perché qualcuno – come un antenato o un amico o il cinema – glielo aveva detto.
Ma per me Ostia sui giornali in questo periodo è soprattutto il racconto di una mafia, quella degli Spada e di chi ci fa silenzio, e quella di chi lotta, facendo il proprio mestiere come contributo. Soprattutto quella di chi lotta.
Pensavo il tragitto più breve. O l’affollamento del trenino mi fa pesare di più il tempo. C’è tanta gente che non si riesce – io non riesco – a capire dove siamo. Ma tanto, vanno tutti al mare, giusto? Scendono tutti allo stesso posto. E anch’io, che da Ostia Lido nord dovrò prendere un pullman per arrivare.
È un mare lontano. Lontano dalla città che la abita, lontano da Roma. È – di fatto – un’altra città ma è come se fosse un suo prolungamento, una mano aperta a segnare il magico confine inesistente del mare. Oh non si vede di certo da Roma ed è strano che un braccio non veda la propria mano ma tant’è.
Per la naturale legge di attrazione del mare questo dovrebbe essere il luogo prediletto per chi voglia immaginarsi la vita, al di là delle domeniche.
Penso è strano non venirci per la prima volta in novembre o in una stagione fredda, in cui il vento costringa ad alzarsi il collo della giacca ma forse, è meglio così. Meglio cioè non pensare a questo viaggio come ad un pellegrinaggio trasformando in un sacrario ciò che resta. Perché ciò che resta deve restare vigile ed ammonirci sul senso di sazietà che ormai ricerchiamo in ogni trama della vita. Nelle storie che viviamo, in quelle che scriviamo dovrebb’esserci sempre posto per qualcos’altro. Un pensiero costante come un ricordo, una vita che comunque reclama attenzione. Ed è forse questa la parte più autentica del viaggio – e della vita intendo – nel suo dispiegarsi nel corpo di uomo e di donna, al di là dei sensi.
Ostia è un lungo viale costellato di pini che però, mancando per lunghi tratti, lasciano degli ampi spazi assolati al camminatore. Affilati come corde d’acciaio i rettilinei sono luoghi in cui timorose si affacciano di tanto in tanto auto sportive, pronte però a lasciarsi alle spalle veicoli lenti e pedoni, zigzagando tra marciapiede e auto in sosta.
Dopo un iniziale tratto a piedi sono salito sul 5 che porta verso l’idroscalo. Finalmente il paesaggio si colora diversamente. Gli ombrelloni variopinti della lunga spiaggia libera ricordano che il mare è e deve restare un luogo indifeso, di libero accesso cioè e non recintato dal capitalismo.
Sceso al capolinea di via Baffigo c’è meno di un km da fare a piedi. Ci sono un teatro, una ludoteca e le strade sono sporche.
Per arrivare al parco, a piedi, bisogna attraversare un tratto di via dell’Idroscalo senza marciapiede. Lo spazio pedonale è consumato dalle erbacce alte quasi un metro. Per di più in questo tratto non c’è nessuno in strada.
Il parco letterario Pier Paolo Pasolini
Arrivi e diventi subito custode. Il cancello è chiuso ma non a chiave. Devi soltanto aprire il moschetto e sei dentro, con l’indicazione di richiudertelo alle spalle. Dopo diversi raid vandalici il parco è stato risistemato e curato dai volontari della LIPU pochi mesi fa.
Ovvio son solo e chi vuoi che ci sia a quest’ora in un giorno d’estate. Riparo sotto un pino. Fumo una sigaretta. Leggo tutte le iscrizioni. Su queste 9 pietre altrettante frasi del poeta. Un luogo qualunque senza i grilli che cantano e il vento tra i fiori e le erbe spontanee. Uno qualunque senza la memoria.
Pier Paolo Pasolini interrogava la verità, non solo gli uomini e le donne. La verità è un luogo diverso, situato anche nel non detto. Lo è allo stesso tempo la realtà. Tuttavia se la sua “ostinata vitalità” non può che attraversare lo spazio multiforme dei suoi versi e delle parole consegnate al mondo, ancora ci resta da dichiarare il suo senso di giustizia.
Un senso di giustizia più ampio della sua tenerezza, una coscienza che lo avvolgeva.
Consumati in questa, spesso viviamo come se nessun luogo fosse adatto ad ospitarla. Eppure ogni luogo è utile – in fondo – ad illuminarla. Anche questo piccolo recinto può esserlo allora?
Tocca ricordarci dei ricordi scritti dalla poesia, inscalfibili. Tocca farlo per non essere pietrificati da Medusa, la più tremenda tra le Gorgoni, perché mortale.
In breve richiudo tornando alla sua solitudine, vera ed immaginaria, e sono subito sul lungo stradone assolato. Dimenticato.
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